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Iscritto dal : 5/15/2008 Posts: 236
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Qualche anno fa, quando le cronache rubricavano frequenti infortuni sul lavoro, scrissi un articolo in cui supponevo che alcuni industriali, piccoli e grandi, stessero optando per la soluzione cinese al problema della competitività del nostro sistema industriale: meno diritti, stipendi invariati, aumento del ritmo lavorativo. Soluzione cinese che è, in realtà, la soluzione tipica di ogni regime oligarchico e plutocratico (anche la Spagna e la Germania degli anni 30-40 ragionavano cosi): i lavoratori sono compressi in organizzazioni che sono solamente la camera di attuazione di indicazioni calate dall'alto per direzionare l'andamento dell'economia secondo i propri interessi.
Ieri ho sentito la dichiarazione di Marchionne al Meeting di Comunione&Liberazione di Rimini: dobbiamo smetterla con le divisioni di classe tra padroni e lavoratori ed addivenire ad un nuovo "patto sociale". Se sarà necessario uscire dalla CONFINDUSTRIA per stabilire un nuovo sistema non vincolante...lo faremo".
I termini di questo patto sociale mi hanno ricordato terribilmente ciò che, appunto, avevo intuito: voi rinunciate -sine die- agli scioperi ed a rivendicazioni salariali, io tengo la produzione in Italia...ai ritmi che dico io.
Schiavismo puro. Non ci sono altri termini.
Come al solito, la borghesia scarica tutti i sacrifici solo sulla classe lavoratrice, senza sforzarsi più di tanto, senza assumersi delle responsabilità.
Nessun metodo produttivo nuovo, nessun prodotto interessante, nessun incentivo ai lavoratori: si aumentano i profitti (che vanno solo ai padroni) comprimendo i costi. Anzi il costo, rappresentato dalla remunerazione del lavoro. Troppo facile!
L'Italia, questo ignora Marchionne, ha da sempre un atavico problema. Dopo il Risorgimento è nato lo Stato ma non la Nazione. Questo perché le redini della penisola sono state prese dalla Boghesia e dall'Aristocrazia che hanno esiliato dalle decisione le masse che avevano fatto lo sforzo maggiore per riunificarci (ricordate Mazzini, Pisacane e Garibaldi?). I torinesi di Casa Savoia si guardarono bene dal toccare gli interessi dei ricchi e dal ridurre le distanze tra le classi. E quella distanza, tra le classi, tra le masse e lo Stato, è andata progressivamente aumentando. Talvolta con forti attriti (il caso delle BR), talvolta con un silenzio assordante da parte del popolo (l'astensionismo elettorale è il terzo partito...).
L'unico rimedio a questa situazione è una rivoluzione copernicana, faticosa e piena di sacrifici. Superare il salario. Oggi giorno le cose funzionano cosi, in fabbrica: io ti vendo il mio lavoro, tu mi paghi. E finisce li. Quello che poi ne viene in più, (il profitto) va tutto e solo all’imprenditore. E perché? Ci mette il rischio? Sì. Ma l’operaio ci mette la salute. E non va al Billionaire, d’Agosto.
Perché non introdurre una partecipazione sugli utili? Una parte del salario, adeguata all’inflazione, stabile. Una parte variabile, sincronizzata con l’andamento dell’impresa. Le cose vanno bene perché ci si è impegnati, il ciclo produttivo è migliore, l’andamento economico è favorevole? E vai con un bonus. Le cose vanno male? Il capitale d’impresa viene usato per ammortizzare il periodo di magra.
Certo, per far sì che le cose vadano bene, occorre anche che le decisioni siano giuste ed intelligenti. Per fare questo si deve andare lontano: gli operai possano usufruire di una formazione sì tecnica ma anche scientifica, di qualità…sopratutto. Come ci sono i master per i manager, cosi ci devono essere corsi professionali di specializzazione anche per i lavoratori. La loro formazione deve prevedere scambi culturali e un itinere continuo (la cosiddetta formazione permanente): col tempo le conoscenze di un operaio o di un contesto produttivo possono farsi vetuste, in confronto all’innovazione tecnologica. Pertanto i lavoratori devono essere formati per stare al passo con i tempi. Solo così saranno sempre un valore aggiunto per l’impresa. Questa formazione di qualità per i lavoratori non deve, però, essere finalizzata solo a una migliore capacità produttiva ma anche a una competenza decisionale. Le politiche aziendali vanno discusse con i lavoratori: chi conosce meglio la produzione…chi la fa o chi la finanzia? Prendere consigli dai lavoratori è sbagliato? Non credo. Scegliere che direzione deve prendere l’azienda spetta solo ai padroni? Allora paghino solo loro in caso di scelte sbagliate o di comportamenti poco etici: perché mandare gli operai a casa? Se le decisioni fossero prese di comune accordo, tutti si assumerebbero responsabilità e lavorerebbero con maggiore impegno verso un obiettivo che sentono anche loro. Spesso anche senza bisogno di un incentivo materiale. Non è più facile cosi?
Si dovrebbe, quindi, superare la distinzione tra padroni e lavoratori in vista di una definizione unica di “produttori” che dovrebbero decidere -al loro interno e senza interferenze esterne- l’andamento delle decisioni economiche del nostro paese. La pace sociale ne guadagnerebbe e finalmente, migliorando le condizioni economiche dei lavoratori, si avvicinerebbe di più
Marquis
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