Verissimo (e innegabile) che tutti -inclusi i giovanissimi- abbian bisogno di "certezze" su cui poter contare. "Su cui poter contare" (a vantaggio
loro!), però, NON "da cui venir limitati" (o, peggio ancora, "puniti"!)...
Non condivido, insomma (come mi par non condivida troppo manco tu) l'insana tendenza di
certe "colleghe" (dettata, a parer mio [ho avuto modo ed occasione di insegnar pure io, ma era -per fortuna- Matematica], più da una sorta di malinteso bisogno d'esercitar un po' d'autorità sui loro sventurati allievi, che da brandite impellenze pedagogiche) a usare la "matita
rossa" (oppure quella
blu: destra e sinistra, in questi
ambodestrismi, in qualche modo, si equivalgono) per "tarpare le ali" al sorgere, nelle testoline dei loro discenti, dei prodomi di un nascente "libero pensiero".
Mi consola -e parecchio,- però, il fatto puro e semplice che tutti i loro segni rossi, a dispetto di tutti i brutti voti che han già dato e che seguiteranno a dare a destra e a manca, non impediranno che la lingua parlata (così come la lingua scritta "viva": quella vera, non quella "imbalsamata") s'evolva e seguiti ad evolversi comunque. Di fatto, queste stesse "insegnanti" avrebbero riempito di "segnacci rossi"
Cent'anni di solitudine (e bocciato Gabriel Garcia Marquez [il quale, per quel poco che conta, si consolerà -magari- rimirando un po' il suo Premio Nobel] a qualsivoglia esame). Queste stesse colleghe, certamente, avrebbero bocciato anche
Fiaba a New York di J.P. Donleavy ("Errore grammaticale sistematico: pagine piene zeppe di domande... però, non c'è nemmeno uno straccio di punto interrogativo in tutto quanto il libro!").
L'autunno del Patriarca (altro schiaffo alla "grammatica togata", firmato Garcia Marquez) che comincia con la lettera minuscola, dura quasi 300 pagine... e non ci trovi dentro un "punto fermo" manco a cercarlo con il microscopio!... Avrebbero bocciato William Faulkner (riempiendo di "segnacci rossi" le prime sue 44 pagine di
L'urlo e il furore [un vero capolavoro, a parer mio]), avrebbero bocciato James Joyce (tingendo l'
Ulisse e il
Finnegan's Wake -imparzialmente- in un genoano rossoblu), avrebbero ritirato ai nostri Alberto Bevilacqua (a causa del suo
Umana avventura) e Dino Buzzati (a causa del suo
Un amore [forse, il miglior romanzo moderno mai scritto in italiano]) la cittadinanza italiana: costringendoli, quale ulteriore punizione, a scrivere
ab aeterno soltanto a monosillabi oppure in aramaico antico...
Esiston gli scrittori, per fortuna, esistono i poeti (pensa soltanto a Nazim Hikmet o -se vogliam guardare ai tempi antichi- alla "poesia figurata" che invase il medioevo). E sono loro, per fortuna, a dimostrare che una lingua viva non si può trattare a "erroracci in rosso" (oppure in blu). Si possono permetter di far questo, certe signore (e certi signori, giacché la chiusura mentale, l'arroccamento dietro ad un "tradizionale" magari pure morto e imbalsamato -vedi il latino ecclesiale- non è sicuramente un'esclusiva femminile), soltanto perché hanno a che fare con dei ragazzini. Soltanto perché c'è mezza "società civile" che, senza nemmen curarsi troppo di ciò che veramente fanno, dà loro supporto per "tener testa a quegli scalmanati". Soltanto perché ai genitori di quegli sventurati ragazzini non frega un fico secco che i loro figli imparino davvero qualche cosa di valore e inizino a pensare
in piena indipendenza e
con la propria testa: solo interesse che hanno, in generale, è che i loro virgulti becchino quanto prima una lodevole promozione e passino, di conseguenza, al gradino superiore (e via così, fino al "sudatissimo pezzo di carta" che sancirà il trionfo loro ultimo finale).
Ma io so avendolo "toccato con mano"- che la scuola non è proprio per niente "lo specchio della società": la scuola è molto peggio della società. Perché la società contiene anche gli artisti e gli scienziati (malvisti, nella scuola, proprio perché han sviluppato la tendenza di pensare
indipendentemente, quali che siano le convenzioni) e gli uni e gli altri van per la propria strada ormai da un pezzo, infischiandosene totalmente degli insegnamenti della scuola. Tant'è che quel che davvero è riuscita -con grande successo- a produrre la scuola è una generazione di non-lettori, di non-studiosi e di non-scrittori.
Tiriamo avanti, amico: lasciamo tempo al tempo. Vedrai, che un giorno o l'altro anche la scuola -così com'è pensata oggi- sparirà (a cominciare dalle assurde isterie piagettiane). E forse, da quel qiorno, i nostri discendenti (se ne avremo) potranno finalmente cominciare ad imparar sul serio...
PS1: personalmente, ho sempre avuto rapporti "burrascosissimi" con quasi tutti gli insegnanti. Ho sempre trattato la lingua italiana (sin dalle elementari) a modo mio, come credevo giusto, indipendentemente da quel che ne potevano pensare gli insegnanti. Nei primi anni, mi sono anche provato a contestar sia i loro "segni rossi che i loro "brutti voti", senza nulla cavarne: sicché ho mutato tattica e dei loro giudizi me ne son sempre completamente infischiato (dichiarandolo sempre onestamente e apertamente: al punto che non m'è mai più nemmeno interessato di "guardar le correzioni" né di sapere quale voto m'avessero dato [atteggiamento, questo, che mi procurò tutta una lunga serie di "7 in condotta"... poi trasformati sempre, a fine anno, in una ramanzina "severissima" [dinnanzi a cui, alzavo le spalle] più un abbassamento di 2 punti di tutti quanti i voti ricevuti, e in cambio "elevavano" a 8 la condotta]). Ho imparato a leggere (leggendo le avventure del mio amatissimo Paperino su Topolino [me lo comprava, già all'epoca, la mamma, perché potessi guardare le figure]) a 5 anni. A 8 anni, leggevo soprattutto fumetti e libri (romanzi e raccolte di racconti) di fantascienza. Attorno agli 11 anni ci aggiunsi anche libri più "normali". Ho letto l'Ulisse di Joyce che avevo 14 anni (e m'è piaciuto assai più che non il
Gente di Dublino o il
Dedalus che m'ero letto prima come preparazione). A scuola, quando c'era Lettere, dato che si parlava spesso di autori che io avevo già ampiamente letto e conoscevo bene, notavo le tante inesattezze -miste a qualche bugia- che gli insegnanti, a piene mani, ci ammannivano. E, quando interrogato, le facevo notare. Portando "prove alla mano" (me le preparavo per tempo, come contromisura al brutto voto che paventavo... e che non sono riusciti a darmi mai, perché non ho sbagliato mai un bel niente: né sugli argomenti svolti dalla classe, né su domande che vertevano su argomenti che non avevamo ancora manco cominciato). Insomma, non c'è mai stata molta simpatia, fra me e gli insegnati in generale. Né ho potuto sviluppar di loro (salvo poche eccezioni... che, guardacaso, son state tutte, alla fine, in una maniera o nell'altra, "silurate" dalla scuola stessa) un'opinione particolarmente buona.
PS2: Anche la mia formazione, in vasta misura, è d'argomento "scientifico" (beh, più matematico che propriamente scientifico, in realtà). Ottima scelta, amico! Mi congratulo.