giza ha scritto:come gia detto, dimezzare le tasse.
eliminare gli appalti e assumere operai alle dirette dipendenze dello stato per l'esecuzione dei lavori pubblici.
una buona massaia a capo del governo o delle finanze che sappia gestire i soldi anche se non sono i suoi.
recuperare tutte le infrastrutture abbandonate o mai utilizzate.
La "buona massaia" diventerebbe pazza entro tre giorni: getterebbe alle ortiche il suo grembiule e prenderebbe al volo il primo razzo per Aldebaran...
Il fatto è, Giza, che quel che decide davvero, da molto tempo ormai [intendo, già dall'epoca della Repubblica Romana di scipionica memoria] sono le forze inarrestabili (una sorta di "monsone naturale gioviano") della MACROECONOMIA. Non sono, come forse pensi tu, le "istanze della base" a incider maggiormente sulle cose modificando e dirigendo eventi e situazioni. I problemi dei singoli (di TUTTI i singoli, anche sommati assieme) o delle famiglie o dei gruppi d'affari (anche di tutte le famiglie sommate assieme o di tutti i gruppi d'affari sommati assieme) NON vanno a incider sugli eventi economici in modo neppur lontanamente paragonabile a quel che incidono le forze macroeconomiche (che agiscono al di sopra addirittura delle singole Nazioni). Chiunque governi uno Stato deve confrontarsi, dunque, con la Macroeconomia. E ciò perché nessuno Stato -neanche il più potente- potrebbe mai resister più di poche settimane senza scambiare BENI -nel bene e nel male- con tutti gli altri Stati che ci sono al mondo. Questa assoluta "dipendenza" -innata nell'idea medesima di scambio- è complicata, nell'economia mondiale, dal fatto che a regolar gli scambi è la ricchezza stessa: la ricchezza prodotta in ogni singolo luogo del pianeta, istante per istante, si unisce, così, quale fattore aggiunto, al "modo di scambio" e assieme vanno a decidere ciò che deve accadere (e che avverrà domani) non solo a ciascuna Nazione, ma anche a tutti quanti i singoli cittadini. La forza di una qualunque moneta (che è "il" veicolo di scambio, dunque "pietra di paragone") dipende essenzialmente da quanta "ricchezza" produce in quel momento il Paese che la batte. L'interdipendenza fra le economie (che ha prodotto la "globalizzazione", ma NON è essa stessa un prodotto della "globalizzazione" giacché è più antica d'essa di millenni) è, poi, solo una parte dell'intera questione.
Anche all'interno di ogni Nazione, dentro a ogni economia, le forze generali prevalgono comunque sulle "istanze" (per quanto accorate, disperate) che vengon dalla base.
Inganna chi promette di poter rilanciar l'economia di una nazione senza avere provveduto
prima a tener giù le tasse (nessun "nuovo boom stile Anni 60" sarà mai possibile finché la tassazione non s'abbasserà di almeno 7 punti percentuali). Né puoi tagliar le tasse a tale livello senza finire dritto dritto dentro al baratro (se scemano le tasse, scemano
le risorse e la Nazione non può più riuscire a fronteggiare i propri impegni: sarà, la Nazione, "un cuore che pompa" ma al quale arriva troppo poco ossigeno, poco sangue). La sola cosa che si può tentare è
ridurre le spese e usar quel che si riesce, in tale modo, a raccattare:
1) per rimpolpare [di poco, giacché di più non si può fare] i bilanci più bassi (a cominciar dai pensionati minimi) in un modo o nell'altro [non è possibile riuscire a alzare le pensioni significativamente: qualora ciò accadesse, TUTTI i pensionati -non soltanto i
più poveri- vorrebbero "qualcosa della torta" anche per loro: sicché, essendo la presunta "torta", invece, un poverissimo "biscottino", l'intera operazione fallirebbe; ma... un po' alzando di qualche euretto, un poco calmierando le bollette, un poco mitigando gli affitti, etc... si può far qualche cosa di "piccolo ma buono" senza che una richiesta troppo ampia e generale mandi l'intera operazione a gambe all'aria];
2) per render più appetibile la manodopera alle aziende [detassando -sia pure non di molto, sia pure solo parzialmente- i salari; dando bonus per chi ha più figli; calmierando un pochino gli affitti e le rate dei mutui]; e
3) per rendere più appetibile alle aziende la produzione di nuove ricchezze [detassando -in maniera indiretta che vada a premiare sostanzialmente le politiche di reinvestimento, di rinnovamento e di ricerca di nuove frontiere produttive- di almeno 3 punti percentuali anche i redditi].
Come vedi, Giza, una tale operazione (pur coraggiosissima, se la vai ad analizzare, è destinata ad incontrar fortissime resistenze nel Paese) non risolverebbe affatto, alla fin fine, la nostra attuale (disgraziatissima) situazione. Ma creerebbe una sorta di "piattaforma" un po' più solida dalla quale si potrebbe ripartire fra qualche anno: giacché chi ha i redditi bassi (i pensionati minimi e i loro consimili) userebbero quel poco di maggiore disponibilità di cui verrebbero godere (sarebbero ancora poveri, ovviamente, solo con qualche euro in più da poter spendere) per acquistar di più (un po' di più: non sarà tanto, ma fa la differenza!) quei generi di prima necessità ai quali adesso arrivan solo a stento ammesso che ci arrivino. E, col crescer lento e cauto degli acquisti (e che sia lento è un bene, perché proprio tale lentezza porrebbe al riparo dalle manovre speculative [nient'altro può riuscirci]), con l'aumentar della richiesta, aumenterebbero gli affari (a poco a poco) e i commercianti "locali" (negozietti, supermercati, discount, etc..) comincerebbero -sia pure in modo lento- ad aumentare le assunzioni: e i nuovi assunti porterebbero, a questo punto, nuove ricchezze anche allo Stato; anche la detassazione parziale dei salari produrrà qualche cosa di affine [chi lavora e sta sopra ai più poveri non vorrà di certo spender queste nuove risorse solamente in generi di "prima necessità"]; alla fine dei conti, le due cose, abbinate, porteranno nuova linfa alla Nazione (non uno "scossone": ma un battito cardiaco, a conti fatti, un poco meno debole che prima); e questa nuova energia, piccola ma vitale, incanalata dalle aziende (interessate a incanalarla dai vantaggi fiscali che ne ottengono) ci porterebbe a migliorar la situazione. Non a "risolvere": a MIGLIORARE. Risolveremo i nostri problemi -se mai ci riusciremo- solo fra molti anni e certo non prima che l'intera Europa abbia concluso positivamente il suo processo di unificazione. Non penso sia possibile a nessuno al governo, oggi come oggi, fare di più. E se ci riusciranno -chiunque vinca- sarà quasi un miracolo, perché la strada, oggi, è oscura e dura, irta di molti pericoli e d'inganni.